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Con la testa fra le nuvole


Caos aeroportuale, altitudine e ansia. Una triade da gestire con serenità dal cardiopatico.

Dottore posso prendere l’aereo?… 

Questa è una delle domande più frequenti che rivolgono i pazienti al medico in questo periodo in cui mete lontane, spiagge bianchissime o paesaggi mozzafiato rappresentano il desiderio di molti. Ad essere spaventati dalle ore in alta quota sono soprattutto i pazienti che soffrono di patologie cardiovascolari.

Per fare un po’ di chiarezza sull’argomento la British Cardiovascular Society ha pubblicato nel 2010 sulla rivista Heart un documento dedicato all’esame degli 
effetti dell’ambiente di cabina sull’apparato cardiovascolare. La pressione barometrica all’interno di un aereo durante il volo è equiparabile a quella che si riscontra in montagna ad una quota intorno ai 2000-2500 metri (la tabella 1 mostra che le variazioni di pressurizzazione tra i diversi tipi di aereo sono molto significative).

tabella mariani

La rapida esposizione a questi valori pressori che si ottiene dopo il decollo induce modificazioni fisiologiche che comportano una riduzione della pressione parziale di ossigeno nel sangue (ipossia ipobarica) e un incremento dell’attivazione simpatica, quindi un aumento della pressione arteriosa, in particolare di quella polmonare. Inoltre il basso grado di umidità, che è intorno al 10%, può favorire la disidratazione. Tutte queste condizioni nei pazienti cardiopatici potrebbero potenzialmente scatenare una crisi di ischemia miocardica. Tuttavia, sottolinea il documento, l’ambiente di cabina rappresenta una minaccia minima e questo perchè il problema non è volare, ma piuttosto la stabilità o instabilità della condizione clinica che a sua volta indica la probabilità che si verifichi un evento nel corso del volo. Nei pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica dopo un infarto miocardico è opportuno attendere circa due settimane prima di volare, in quanto è stato dimostrato che la riduzione della pressione parziale di ossigeno è in grado di alterare l’equilibrio tra i processi pro-trombotici e antitrombotici che in ultima analisi potrebbe favorire il rischio di trombosi dello stent, condizione che occorre con maggiore frequenza nella prima settimana. Il periodo sale a tre settimane dopo un intervento di bypass aortocoronarico. Il rischio di avere un evento durante il volo è basso se il paziente ha un’età inferiore ai 65 anni, se è stato riperfuso con successo e se non vi sono segni di scompenso cardiaco o di aritmie importanti. Per quanto riguarda i pazienti affetti da scompenso cardiaco, bisogna ricordare che oltre alla compromissione inotropa del cuore, sono spesso presenti comorbidità che interessano i polmoni, i reni, la circolazione polmonare, i globuli rossi e il sistema nervoso simpatico, condizioni che necessitano di uno specifico adattamento all’altitudine e che possono essere ulteriormente compromesse in alta quota. Anche per questi pazienti i viaggi aerei possono essere permessi purchè siano in fase di stabilità clinica, tenendo debito conto dell’impatto di eventuali comorbidità.
I pazienti portatori di pace-maker o di defibrillatori impiantabili non subiscono danni al loro funzionamento per l’interferenza elettromagnetica a bordo, tuttavia nelle fasi di controllo prima dell’imbarco possono avvisare il personale addetto per evitare di passare sotto i metal detectors a meno che non siano dotati di dispositivi protetti dalle interferenze elettromagnetiche.
I pazienti cardiopatici devono poi mettere in conto altri fattori come lo stress psico-fisico dovuto alle lunghe attese durante il check-in, al trasporto dei bagagli e non ultimo il cambio del fuso orario che comporta una modificazione del ritmo circadiano sonno-veglia e che può alterare la regolarità con cui vengono assunti i farmaci. Per quanto riguarda il trattamento farmacologico e’ necessario tenere presente che la terapia beta-bloccante interferisce con i meccanismi di adattamento alla quota. Questo effetto, però, appare quasi interamente mediato dal blocco dei recettori 2, per questo i betabloccanti 1 selettivi, come il bisoprololo e il nebivololo, sembrano preferibili rispetto ai betabloccanti non selettivi.

Un discorso a parte merita la trombosi venosa profonda, la cosiddetta “sindrome da classe economica”. Come noto, lo stare seduti a lungo, in un ambiente angusto, comporta una compressione prolungata dei vasi venosi con conseguente stasi venosa e formazione di edemi nelle parti più declivi del corpo (caviglie e piedi gonfi). Questo può portare alla genesi di eventi tromboembolici in soggetti predisposti alla trombosi venosa profonda, soprattutto quando il volo duri più di qualche ora. Le persone più a rischio sono gli anziani, le donne in gravidanza o che fanno ricorso alla terapia estrogenica, le persone con vene varicose degli arti inferiori, quelle affette da neoplasie e gli obesi. Fare alcuni esercizi (fig. A), che vengono spesso esemplificati in filmati proiettati durante il volo, bere molta acqua e utilizzare calze elastiche sono gli accorgimenti più comuni. Da questo punto di vista le linee guida britanniche sono tutto sommato rassicuranti: è vero che un volo di lunga durata raddoppia il rischio, ma succede lo stesso anche viaggiando in macchina, in treno o in bus per lo stesso numero di ore e il rischio assoluto di trombosi venosa profonda per una persona sana è di 1/6000 per un volo superiore alle 4 ore;  inoltre i piloti non sono più a rischio della popolazione generale. L’aspirina non è raccomandata secondo gli esperti britannici.

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In conclusione tutti i pazienti che soffrano e che abbiano sofferto di patologie cardiovascolari dovrebbero effettuare una visita presso il proprio medico di fiducia che ne valuti la stabilità clinica prima di affrontare un volo aereo di molte ore. E’ consigliabile inoltre portare con sè la documentazione relativa alla propria storia anamnestica ed eventualmente il tesserino del pace maker.

Possiamo quindi augurare un buon volo a tutti…anche perché viaggiare in automobile o sulle due ruote è decisamente un fattore di rischio più elevato!

A cura di:
Dr.ssa Simona Mariani
Specialista in Cardiologia
UO Cardiologia – UTIC
Aurelia Hospital Roma