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Screening elettrocardiografico Roma 2012

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Esami


La medicina tutta e in particolare la cardiologia hanno avuto negli ultimi decenni un progresso tecnologico molto importante. Grazie allo sviluppo di nuovi materiali, allo sviluppo informatico ed alle nuove conoscenze biologiche oggi è cambiato considerevolmente l’approccio all’ammalato ed alla malattia. Pochi decenni fa il cardiologo, armato del suo fonendoscopio, arrivava ad una diagnosi presuntiva col solo aiuto della sua stessa competenza clinica, dell’elettrocardiogramma e della radiografia del torace. Se ciò non fosse stato sufficiente od in caso di gravi cardiopatie si faceva ricorso ad esami invasivi e pericolosi quali lo studio emodinamico e/o elettrofisiologico.
Ai giorni nostri il medico ed il cardiologo in particolare possono disporre di una notevole mole di ausili non invasivi riuscendo pertanto a portare sul lettino dell’elettrofiosiologo o dell’emodinamista quei pazienti da sottoporre non solo ad una diagnosi ma sempre più frequentemente ad una terapia efficace.

Elettrocardiogramma

L’elettrocardiogramma (ECG) utilizzato nella pratica clinica registra, attraverso elettrodi posizionati sulla superficie corporea, i cambiamenti di potenziale generati dal cuore. L’attività meccanica delle cellule cardiache è sempre preceduta da un’attività elettrica, definita come processo di attivazione o depolarizzazione. Ciò è possibile perché le cellule cardiache, che in condizioni basali presentano una differenza di potenziale fra l’esterno (positivo) e l’interno (negativo), generano durante l’attivazione un’inversione di polarità della membrana che diviene negativa all’esterno e positiva all’interno. Tra una cellula attiva ed una a riposo, si determina pertanto una differenza di potenziale che genera un flusso di corrente che a sua volta determina l’attivazione della cellula a riposo. Lo svilupparsi a catena di questo fenomeno permette il propagarsi dell’onda di depolarizzazione che segue in condizioni normali un cammino preordinato che inizia nel nodo del seno e termina nelle porzioni basali dei ventricoli. Dopo un certo periodo dall’inizio dell’attivazione le cellule ritornano alle condizioni basali ripristinando le iniziali caratteristiche di polarità attraverso il processo di ripolarizzazione. Si realizza di conseguenza una differenza di potenziale fra cellule depolarizzate e cellule a riposo (ripolarizzarte), che costituisce il cosiddetto “dipolo”, il quale può essere rappresentato da un vettore con testa positiva e coda negativa. I potenziali elettrici così generati possono essere rilevati sulla superficie corporea, cioè a distanza dal cuore, in quanto quest’ultimo è immerso in un mezzo conduttore capace di trasmettere i fenomeni elettrici.

L’elettrocardiogramma consente di rappresentare graficamente l’attività elettrica cardiaca durante la fase di contrazione (sistole) e di rilasciamento (diastole) degli atri e dei ventricoli. La rappresentazione grafica dell’attività elettrica del cuore viene fatta su una carta millimetrata che scorre nell’elettrocardiografo; la velocità di un elettrocardiografo è di 25 mm al secondo; i lati dei quadrati rappresentati sulla carta millimetrata misurano 5 mm, cinque di essi quindi rappresentano un secondo.

L’ECG normale presenta un’ampia variabilità in rapporto a diversi fattori quali la diversa disposizione anatomica, la conformazione del viscere cardiaco, la conformazione della gabbia toracica, la conducibilità elettrica del corpo umano, oltre all’età ed al sesso. Pertanto quella di “tracciato normale” rappresenta una conclusione rappresentativa che sottende un’ampia variabilità e anche la possibilità che modificazioni indotte da una data patologia rientrino nella variabilità normale e sfuggano quindi alla diagnosi.

La lettura di un elettrocardiogramma può sembrare molto difficile a volte anche incomprensibile, ma è possibile per i non addetti ai lavori farsi un’idea di massima.

Ecco quindi gli aspetti più significativi che si possono incontrare in un ECG:

Onda P è l’onda che visualizza lo stato di attivazione degli atri; l’attivazione atriale inizia nel nodo sinusale e si diffonde pressoché a macchia d’olio nella muscolatura dell’atrio destro, del setto interatriale e dell’atrio sinistro. La contrazione degli atri (sistole atriale) non è particolarmente potente, conseguentemente la P è un’onda di dimensioni ridotte (ampiezza uguale o inferiore a 2.5 mm) e la cui durata va dai 60 ai 120 ms; offre indicazioni del tempo impiegato dall’impulso per propagarsi a entrambi i lati (può servire appunto per la diagnosi di patologie atriali come il flutter).

Tratto PQ il tratto PQ, piano e privo di onde, misura il tempo che intercorre dal momento in cui iniziano ad attivarsi gli atri fino al momento in cui si attivano i ventricoli.

Complesso QRS è formato dall’onda Q, breve e che va verso il basso. E’ un’onda negativa che corrisponde alla depolarizzazione del setto interventricolare dell’alta e stretta onda R che corrisponde alla depolarizzazione dell’apice del ventricolo sinistro e dalla piccola onda S che va anch’essa verso il basso ed un’onda negativa che corrisponde alla depolarizzazione delle regioni basale e posteriore del ventricolo sinistro. Il complesso caratterizza la sistole ventricolare con l’arrivo dell’impulso ai ventricoli (onda Q) e l’estensione a tutto il tessuto (onde R e S). Il complesso QRS si altera in caso di disturbi della conduzione elettrica o in caso di infarto (blocchi di branca).

Segmento ST il segmento ST che segue l’onda S e comprende l’onda T, presenta una durata variabile, è generalmente  isoelettrico e cioè orizzontale. Tuttavia lievi livellamenti del segmento ST, a concavità verso il basso o verso l’alto, non rappresentano necessariamente un riscontro patologico. Il lungo intervallo ST può rilevare problemi ischemici, rappresenta il periodo in cui i ventricoli si contraggono e poi (con l’onda T) ritornano a riposo.

Onda T assieme all’intervello ST, è espressione del processo di ripolarizzazione  dei ventricoli (ovvero il momento in cui  i ventricoli hanno terminato la loro fase di attivazione e sono pronti per una nuova contrazione). E’ un’onda più lenta del complesso QRS e asimmetrica in quanto la branca ascendente è più lenta della discendente. L’onda T permette di avere indicazioni sull’ipertrofia cardiaca, l’ischemia e l’infarto miocardico.

Intervallo QT riflette la durata del processo di depolarizzazione  e ripolarizzazione ventricolare ed è quindi la rappresentazione della sistole elettrica. La durata di questo intervallo varia a seconda della frequenza cardiaca; di norma tale frequenza oscilla tra i 350 ed i 440 ms. Data la variabilità dell’intervallo QT ed il condizionamento che ha su di esso la frequenza cardiaca, lievi prolungamenti di tale intervallo non sono da considerare necessariamente patologici.

Onda U fa parte del processo di ripolarizzazione ventricolare; non è un’onda sempre apprezzabile in un elettrocardiogramma. Si osserva in pochi soggetti, generalmente bradicardici. A volte la sua separazione dall’onda T non è netta, tanto che può essere difficile differenziarla da un’onda T con aspetto bifido.


Ecografia

L’ecografia è stata la prima metodica che ha permesso di “vedere” e “sentire” il cuore ad ogni battito. Grazie agli ultrasuoni è possibile esplorare il cuore dal punto di vista anatomico e funzionale real time. Il cardiologo, sfruttando anche le ricostruzioni 3D (fig. 1), può osservare tutte le camere cardiache misurandone le dimensioni, la forma, il movimento di parete, la funzione valvolare.

Ecocardiografia bidimensionale

Ecocardiografia bidimensionale

Grazie all’uso di farmaci può stressare il muscolo cardiaco osservandone il comportamento “sotto sforzo”. Oggi tale esame rappresenta l’evoluzione tecnologica delle mani e dell’orecchio del cardiologo clinico e non solo.

Negli ultimi anni l’ecocardiografia si è affermata come la metodica di imaging più frequentemente usata in cardiologia. Infatti questa metodica non invasiva, poco costosa, eseguibile al letto del paziente, presenta un’elevata risoluzione spaziale e temporale e consente quindi un’accurata e completa valutazione anatomofunzionale del cuore.

E’ una metodica che utilizza gli ultrasuoni per visualizzare la morfologia del cuore e la sua funzione di pompa.
Gli ultrasuoni sono fenomeni relativi ad onde sonore con frequenza al di là del limite dell’udito umano. Le onde ultrasonore  seguono gli stessi principi fisici delle onde sonore, con la sola differenza che gli ultrasuoni si propagano in maniera simile ad un’onda luminosa e perciò possono essere diretti in una specifica direzione. Le caratteristiche principali delle onde sonore sono rappresentate dalla compressione e dalla rarefazione di particelle del mezzo attraverso cui queste onde si propagano. Un’onda viene definita come un ciclo di compressione e rarefazione, e la distanza fra due picchi costituisce la lunghezza d’onda. La frequenza (f) si riferisce al numero di cicli per unità di tempo e si esprime in Hertz. Quindi, esiste una relazione inversa tra frequenza e lunghezza d’onda. Più alta è la frequenza, più breve è la lunghezza d’onda.
Inoltre la lunghezza d’onda moltiplicata per la frequenza rappresenta la velocità (v) del suono o dell’ultrasuono in quel dato mezzo. La velocità del suono è di fondamentale importanza perché rappresenta il maggior fattore limitante in ecocardiografia e nell’analisi Doppler. Nell’uomo, la velocità degli ultrasuoni è di circa 1540 m/sec. Mentre attraverso il mezzo gli ultrasuoni vengono attenuati a causa dei fenomeni dell’assorbimento e dello scattering. Il grado di attenuazione varia con la frequenza del trasduttore e con la natura del mezzo. La minor attenuazione avviene nell’acqua, nel sangue e nei tessuti molli e la maggiore nel polmone, nell’aria e nell’osso.

L’applicazione dell’effetto Doppler per quantificare la velocità del sangue all’interno delle camere cardiache è uno degli aspetti tecnologici che più ha migliorato l’utilità clinica dell’ecocardiografia.

Il colo Doppler consente la misurazione della velocità del sangue all’interno delle camere cardiache, agevolando lo studio delle valvole e la diagnosi di disfunzione di queste ultime (stenosi, ovvero ridotta apertura valvolare, o insufficienza, ovvero incompleta chiusura). L’ecocardiogramma transtoracico si effettua con una sonda a ultrasuoni posizionata nella regione anteriore del torace; quello transesofageo è più invasivo, e comporta il posizionamento della sonda all’interno dell’esofago, cioè subito dietro al cuore, consentendo una migliore visualizzazione dell’anatomia cardiaca, specie quando le immagini ottenute con il transtoracico non sono ottimali.

Ecocardiografia 3D

L’introduzione dell’ecocardiografia tridimensionale (3D) in tempo reale ha aperto nuove grandiose possibilità diagnostiche e terapeutiche in Cardiologia. La differenza fondamentale tra l’esame 3D e l’esame tradizionale bidimensionale è sostanzialmente quella che nel 3D l’operatore osserva il cuore dall’interno, mentre nell’esame tradizionale bidimensionale osserva “fette” di cuore dalle quali poi l’operatore stesso deve ricostruire le strutture in 3D mentalmente ma senza mai avere le immagini reali.

In 3D si osservano le strutture al completo come se l’operatore le vedesse davanti a sé.
Ma serve davvero l’eco 3D per migliorare la diagnosi e la terapia nei pazienti?
La risposta è SI!!

Oggi, ad esempio, non sarebbe possibile riparare una valvola mitrale correttamente senza avere l’ausilio delle immagini in 3D che ci svelano tutte le caratteristiche anatomiche delle sue strutture.
Ma le applicazioni sono numerose e l’esame 3D è diventato parte integrante dell’esame ecocardiografico.

Le applicazioni maggiori riguardano:

  • Valutazione della valvola mitrale in vista di riparazione
  • Valutazione della valvola aortica in vista di riparazione
  • Studio delle cardiopatie congenite semplici e complesse
  • Studio della re sincronizzazione cardiaca in 3D con valutazione in tempo reale del beneficio della procedura

Inoltre, l’eco 3D è diventato fondamentale per alcune procedure di “cardiologia interventistica” quali:

  • Guida nella chiusura del forame ovale pervio con device
  • Guida nella chiusura del difetto interatriale con device
  • Guida nella chiusura dell’auricola sinistra in soggetti con fibrillazione atriale che non possono assumere anticoagulanti
  • Guida nell’impianto transfemorale di grappe mitraliche (Mitral Clips) per la riduzione dell’insufficienza mitralica
  • Guida nell’impianto di valvole aortiche (e adesso anche mitraliche) per via transcutanea
  • Guida nell’impianto di anelli mitralici per la plastica transcutanea nella mitrale
  • Guida nella chiusura transcutanea di leak paraprotesici mitralici

Tutto questo viene attualmente modernamente guidato e controllato dall’ecocardiografia in 3D, uno strumento diventato indispensabile sia in sala operatoria, e ancor prima, nella pianificazione del migliore intervento per lo specifico paziente da parte del Team Cardiologico e Cardiochirurgico.

Monitoraggio della pressione arteriosa

Il monitoraggio ambulatoriale della pressione arteriosa è una tecnica non invasiva di controllo della pressione arteriosa (PA) attraverso ripetute misurazioni automatiche a brevi intervalli, nelle condizioni di vita abituali.

Anche se alcune delle informazioni fornite dal monitoraggio possono essere ottenute da ripetute misurazioni effettuate presso l’ambulatorio medico o con l’automisurazione della PA, il monitoraggio ha avuto un notevole successo perché permette di ottenere una rapida informazione sui livelli usuali della PA nelle ore diurne e nelle ore di riposo. I sistemi attualmente in commercio sono costituiti da un bracciale, disponibile in varie dimensioni, che viene gonfiato automaticamente, ad intervalli prefissati, da un microcomputer portatile che tiene in memoria pressione arteriosa sistolica (PAS), pressione arteriosa diastolica (PAD) e frequenza cardiaca (FC) di tutte le misurazioni effettuare nelle 24 – 48 ore dell’esame. Le strumentazioni sono abitualmente dotate di un sistema per misurazioni aggiuntive su richiesta del paziente.

Gli strumenti disponibili sfruttano essenzialmente due sistemi: quello auscultatorio e/o quello oscillo metrico. Il metodo auscultatorio, richiede un posizionamento accurato e stabile del microfono (microfono piezoelettrico che registra i toni di Korotkoff) che è estremamente sensibile agli artefatti provocati dai rumori ambientali. Il metodo oscillometrico rileva le oscillazioni iniziali (PAS) e massime (pressione arteriosa media) dell’arteria brachiale e calcola la PAD con idonei algoritmi, non richiede un perfetto posizionamento del trasduttore sopra l’arteria brachiale, come il metodo auscultatorio e risulta meno suscettibile ad eventuali spostamenti del trasduttore ed ai rumori esterni, ma è sensibile ai tremori, ai movimenti muscolari del braccio ed alle vibrazioni. Per avere un numero sufficiente di misurazioni e conseguire delle medie attendibili, si devono ottenere da 2 a 4 misure della PA per ora. Abitualmente vengono utilizzati intervalli di 10 – 15 minuti durante il giorno e di 20 – 30 minuti durante la notte; le misurazioni necessarie durante la notte sono inferiori a quelle necessarie durante il giorno, poiché la PA è meno variabile durante la notte ed il riposo.

I dati raccolti vengono usualmente analizzati automaticamente su un computer, per escludere i valori errati in base ad un algoritmo predefinito, e successivamente rivisti e controllati dal lettore.

Sulla base dei risultati ottenuti il medico potrà confermare la terapia in corso o modificarla appositamente.

Holter

Il monitoraggio ambulatoriale dell’elettrocardiogramma secondo Holter o ECG dinamico rappresenta una metodica non invasiva di largo utilizzo in cardiologia clinica e in aritmologia.
Essa ha lo scopo di valutare le alterazioni elettrocardiografiche e del ritmo cardiaco di pazienti affetti da differenti malattie cardiache, in particolare la cardiopatica ischemica e le aritmie cardiache. Questa metodica consente di esaminare, in maniera continuativa l’ecg di un paziente per 24 – 48 ore durante l’attività fisica, durante il sonno, attività sessuale etc. E’ in tal modo possibile valutare il soggetto sia nelle ore di giorno che in quelle di notte, durante una normale giornata lavorativa.

Per tale esame si usa uno strumento portatile (Holter), leggero, costituito da un registratore digitale collegato al paziente con elettrodi sul torace. L’Holter funziona a batteria, non dà fastidio e non interferisce con altri apparecchi elettromagnetici. Il test si considera attendibile quando le misurazioni rilevate siano valide almeno al 70%.

Le maggiori indicazioni sono rappresentate dalle aritmie cardiache e dai disturbi di conduzione che l’esame è in grado di evidenziare anche se sono “silenti” (cioè senza che il paziente se ne accorga).
Un altro campo di applicazione molto importante è il controllo dell’ischemia silente. Una condizione cioè di sofferenza ischemica del cuore che non provoca sintomi al paziente, mettendolo pertanto a rischio di avere un infarto miocardico.
L’Holter può avere un’importanza determinante in queste due patologie che, se evidenziate in tempo, possono essere curate in maniera efficiente (con l’impianto di un pacemaker o defibrillatore nel caso di aritmie gravi o con una angioplastica o bypass aortocoronarico nel caso della ischemia miocardica).

Test Ergometrico o Prova da Sforzo

E’ uno degli strumenti diagnostici di maggiori importanza e diffusione nella valutazione diagnostica e prognostica dei pazienti con malattia nota o sospetta dell’apparato cardiovascolare, in particolare della cardiopatia ischemia. Esso costituisce, inoltre, un’utile procedura di screening per soggetti sani a rischio elevato di patologia coronarica o sottoposti ad attività lavorative ad elevato carico di responsabilità sociale ed è raccomandato a tutti i praticanti attività fisica intensa. Il dogma centrale su cui si impernia l’utilizzo clinico del test ergometrico è rappresentato dalla possibilità di rilevare anomalie dell’apparato cardiovascolare non evidenti in condizioni di riposo. L’esercizio fisico induce una serie di adattamenti cardiocircolatori che hanno lo scopo di aumentare l’apporto di sangue agli organi periferici e provoca un incremento del consumo miocardico di ossigeno attraverso  aumento della frequenza cardiaca, della tensione intramiocardica e della velocità di contrazione dei miociti. Il test ergometrico ha due obiettivi fondamentali:

  1. Valutare la capacità del circolo coronarico di adeguare l’apporto miocardico di ossigeno all’incremento di richiesta
  2. Valutare la capacità globale di esercizio, il cui determinante essenziale è costituito, in assenza di anemia, pneumopatie, disordini neuromuscolari o della circolazione periferica, dalla riserva inotropa cardiaca.

L’indagine consiste nella registrazione dell’elettrocardiogramma e nella misurazione periodica della pressione arteriosa durante l’esecuzione di uno sforzo fisico mediante l’utilizzo di un cicloergometro o di un tapis-roulant. Durante tale esame verrà impostato un aumento progressivo dello sforzo che verrà continuato sino al raggiungimento della frequenza cardiaca massima prevista per l’età del paziente o alla comparsa di alcuni sintomi quali affaticamento, affanno, dolore al petto o alle gambe o sino a quando il medico non ritenga opportuno interromperlo sulla base del rilievo dell’elettrocardiogramma o della pressione arteriosa. Il paziente dovrà segnalare al medico ogni sintomo o disturbo che dovesse avvertire poiché potrebbero essere indicativi di un possibile problema. La durata totale dell’esame sarà circa 30 minuti. Ogni struttura/reparto che esegue l’esame è tenuto a consegnare al paziente, all’atto della prenotazione dell’esame, o nel momento in cui venga posta l’indicazione all’esame stesso, un modulo informativo che illustri in maniera semplice ed esauriente gli scopi dell’esame, le modalità di esecuzione dell’esame stesso ed i possibili rischi ad esso connessi.

Tomografia computerizzata (cardioTC)

La tomografia computerizzata (cardioTC) e la risonanza magnetica cardiaca (cardioRM) stanno ulteriormente modificando l’approccio alle malattie del cuore.

Fig. 2. CardioTC con visualizzazione e ricostruzione 3D delle arterie coronarie

Fig. 2. CardioTC con visualizzazione e ricostruzione 3D delle arterie coronarie

La cardioTC (fig. 2) viene utilizzata soprattutto per la diagnosi di malattia della coronarie permettendo una visualizzazione non invasiva dell’albero coronarico (le coronarie sono le arterie che portano il sangue al muscolo cardiaco). Fino a pochi anni fa era possibile visualizzare le coronarie solo grazie alla coronarografia, esame invasivo, che sfrutta la puntura di un vaso arterioso (usualmente l’arteria femorale o radiale) per l’introduzione di cateteri fino all’ostio delle coronarie. A questo punto l’iniezione del mezzo di contrasto iodato permette la visualizzazione dei vasi coronarici. La cardioTC è un esame radiologico (quindi che sfrutta raggi X) non cruento che tuttavia espone il paziente ad una rilevante dose di radiazioni ed all’uso del mezzo di contrasto iodato come nella coronarografia. Inoltre non può essere effettuata nei pazienti con aritmia cardiaca non controllabile farmacologicamente (per esempio la fibrillazione atriale) ed è un esame solamente diagnostico. Pertanto appare utile in un gruppo limitato di pazienti nei quali si voglia escludere una coronaropatia piuttosto che dimostrarla.

 

Risonanza magnetica cardiaca (cardioRM)

La risonanza magnetica cardiaca (cardioRM) (fig. 3) rappresenta senza dubbio l’esame di II livello (dopo l’ecocardiografia) più valido per lo studio della funzione cardiaca, il calcolo dei volumi e della massa miocardica e lo studio del flusso sanguigno all’interno delle camere cardiache e attraverso le valvole.

Fig. 3. Ricostruzione del cuore e dei grossi vasi mediante RM

Fig. 3. Ricostruzione del cuore e dei grossi vasi mediante RM

La RM sfrutta la proprietà di alcuni nuclei atomici per produrre immagini. Pertanto non vi è esposizione a radiazioni ionizzanti.

Queste due metodiche sono in continua crescita e trovano già ora ed ancora di più nel prossimo futuro sovrapposizione e complementarietà di azione. Passi enormi sono stati fatti anche per le patologie del ritmo cardiaco. Accanto all’esame ECG Holter che permette una registrazione di 24, 48 o più ore del ritmo cardiaco ricordiamo l’avvento della telemedicina e nello specifico dellatelecardiologia. Grazie ad un supporto altamente tecnologico fornito al paziente ed attivabile da lui stesso in caso di sintomi correlabili ad aritmia, è possibile registrare e trasmettere all’ospedale via linea telefonica il tracciato elettrocardiografico in quel preciso istante. Il paziente può tenere tale supporto con sé fino a due mesi e ripetere il ciclo di registrazioni qualora vi fosse la necessità.

 

 

Loop recorder

Quando l’evento aritmico sospetto si presenta con meno frequenza è oggi possibile impiantare sottocute un loop recorder (fig. 4).

Fig. 4. Loop recorder impiantabile

Fig. 4. Loop recorder impiantabile

Si tratta di un piccolo dispositivo grande come un accendino che registra il ritmo cardiaco del paziente per circa due anni. Se durante questo periodo il paziente presenta l’aritmia clinica o il sintomo che sospettiamo avere come causa una aritmia (per esempio un episodio di transitoria perdita di coscienza denominato sincope) è possibile interrogare il dispositivo come si fa con i pacemakers e vedere il tracciato elettrocardiografico del paziente al momento dell’evento clinico. Chiaramente questo permette una precisa diagnosi dell’aritmia ed il conseguente corretto approccio terapeutico del caso.

Enormi passi avanti sono stati fatti anche nei dispositivi impiantabili definitivi (pacemakers e defibrillatori). Oggi questi dispositivi registrano tutte le aritmie che il paziente presenta e le eventuali terapie erogate dallo stesso. Alcuni monitorizzano altri parametri clinici estremamente importanti quali l’accumulo di fluidi nel torace come avviene nei pazienti affetti da scompenso cardiaco.

 

 

Allarme acustico

L’allarme acustico, avvertibile dal paziente stesso in questo caso, avviene solitamente 7-15 giorni prima che il paziente stia male permettendo così un controllo clinico precoce e la terapia del caso.

Fig. 5. Primo PM che consente l'esecuzione di risonanza magnetica di altri distretti corporei

Fig. 5. Primo PM che consente l’esecuzione di risonanza magnetica di altri distretti corporei

Alcuni dispositivi sono in grado di monitorare i cambiamenti elettrocardiografici indotti dall’ischemia miocardica (monitoraggio del tratto ST). Questo consente al clinico di osservare episodi di ischemia cardiaca anche in assenza di sintomi (angina silente) permettendo al medico di indirizzare il paziente agli opportuni accertamenti e terapie del caso. Oggi disponiamo inoltre di un pacemaker che permette al paziente di essere sottoposto ad esame RM in alcuni distretti corporei in tutta sicurezza, cosa finora assolutamente proibita a tutti i pazienti portatori di pacemaker (fig. 5).

 

 

Allarme acustico

L’informatizzazione degli apparecchi medicali ha permesso di avere un controllo remoto dei dispositivi impiantabili. Oggi il cardiologo dall’ospedale può controllare i parametri di funzionamento e clinici più importanti dei pazienti portatori di pacemaker e defibrillatori. Attraverso un antenna integrata il dispositivo può trasmettere anche giornalmente i parametri elettrici di funzionamento ed i parametri clinici su elencati (per esempio accumulo di fluidi) ad un server tramite un sistema monitor domiciliare consegnato al paziente stesso.

Il cardiologo grazie ad una connessione internet protetta può estrarre dal server le informazioni relative al suo paziente (fig. 6). Questo già oggi ed ancora di più nel prossimo futuro permette un pronto ed efficiente controllo del paziente; un minor numero di visite ospedaliere programmate e di accessi/ricoveri presso le strutture pubbliche; minor spesa sanitaria.

Fig. 6. Uno dei sistemi di controllo a distanza per pazienti portatori di PM-ICD

Fig. 6. Uno dei sistemi di controllo a distanza per pazienti portatori di PM-ICD

Qui abbiamo segnalato brevemente solo gli aggiornamenti tecnologici nel percorso diagnostico del paziente cardiopatico. Di pari passo abbiamo una notevole crescita nell’armamentario terapeutico. Come già detto sopra pacemaker e defibrillatori sono sempre più sofisticati. Dobbiamo però assolutamente ricordare anche la crescita importante del materiale utilizzato dal cardiologo emodinamista per trattare le lesioni coronariche.
Oggi grazie agli stents (magliette metalliche che servono a mantenere pervi i segmenti coronarici ristretti dall’aterosclerosi) molti pazienti sono salvati dall’infarto miocardico e sollevati dall’angina pectoris.

 

Stents medicati e elettrofisiologia

Grazie agli stents medicati (stent che rilasciano un farmaco che diminuisce in modo significativo la riocclusione del vaso sia in acuto sia in cronico), (fig. 7) siamo riusciti a ridurre di molto i reinterventi percutanei.

Fig. 7. Stent a rilascio controllato di farmaco per impedire la restenosi della coronatia trattata

Fig. 7. Stent a rilascio controllato di farmaco per impedire la restenosi della coronatia trattata

Grazie alla cardiologia interventistica coronarica siamo riusciti a ridurre in modo significativo i malati suscettibili del solo intervento cardiochirurgico di rivascolarizzazione miocardica ed a trattare quei pazienti dal rischio cardiochirurgico troppo elevato. Oggi è possibile trattare per via percutanea non solo problemi alle coronarie ma anche alle valvole cardiache (fig. 8); è possibile trattare alcuni tipi di difetti congeniti.

Fig. 8. Esempio di valvola cardiaca impiantabile per via percutanea

Fig. 8. Esempio di valvola cardiaca impiantabile per via percutanea

Ricordiamo anche il ruolo dell’elettrofisiologia. Accanto all’impianto di pacemaker per trattare le bradiaritmie (aritmie con bassa frequenza cardiaca) e lo scompenso cardiaco (pacemaker biventricolari) e i defibrillatori impiantabili per trattare le tachiaritmie (aritmie con elevata frequenza cardiaca come le tachicardie e la fibrillazione ventricolare) vi è la tecnica di ablazione transcatetere delle aritmie.
Grazie all’introduzione di cateteri per via venosa e/o arteriosa in grado di interrompere i circuiti elettrici cardiaci che generano particolari forme di aritmie è oggi possibile liberare il paziente dal peso della terapia farmacologica antiaritmica assunta per anni se non addirittura per tutta la vita.

Anche l’industria farmaceutica ci ha permesso di migliorare ed allungare la vita dei nostri pazienti.
Considerando che le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte nei paesi industrializzati capiamo bene l’importanza che riveste la ricerca tutta in questo ambito. Finora il giorno dopo è stato migliore del giorno precedente. Dobbiamo continuare su questa strada perché molto è stato fatto ma ancora molto c’è da fare.